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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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Amantea e San Ferdinando
Un esempio. Nel 1833 Mazzini venne condannato a morte, assieme a Garibaldi, da un tribunale del Regno di Sardegna. Riparò a Londra, giacché il governo inglese assisteva questi esuli liberali e democratici in Europa per poter impunemente massacrare gli Indiani, o, nella stessa Europa, gli Irlandesi. Ammesso dunque, e nemmeno del tutto concesso, che Mazzini avesse ragione e Carlo Alberto torto, Mazzini era uno, e con poca spesa la regina Vittoria, dal ’37 regnante, faceva bella figura; Garibaldi, a onor del vero, andò a guadagnarsi il pane in America Latina con il mestiere di guerrigliero e similari. Questo era, nel XIX secolo, l’asilo politico di pochissime persone. Ma se tutta la città di Genova avesse deciso di seguire Mazzini in esilio con la motivazione che Carlo Alberto non concedeva la libertà di stampa eccetera, e si fosse perciò imbarcata su navi destinazione Gran Bretagna, la flotta inglese avrebbe respinto l’invasione, non esitando, in caso d’insistenza, a far uso dei cannoni. Un caso umano è umano, e magari politico, mille casi sono un problema, un milione sono una catastrofe. Se tutti quelli che si trovano in Paesi in guerra ritengono loro diritto trasferirsi in Italia, e noi glielo concediamo, non basterebbero, per accoglierli, le vette delle Alpi, l’interno del Colosseo e degli Uffizi, e il deserto che c’è nei pressi di Montalbano Ionico. E poi, chi l’ha detto che uno stato di guerra è sufficiente a far del richiedente una vittima di nobile animo? E se si tratta di uno Stato legittimo attaccato da stranieri e che, legittimamente, ha chiamato alle armi i suoi giovani, e invece Tizio o Caio sono degli ignobili renitenti e codardi di fronte al nemico della loro patria? E se sono ricercati dalla loro polizia, pur essa legittima, per reati comuni? Lo stesso per la tendopoli di San Ferdinando, dove migliaia di poveracci sperano di raccogliere arance che non vuole più nessuno, tanto le raccoglievano solo per il contributo europeo, mica per venderle o produrre aranciate! Tutte le anime belle della Calabria stanno piangendo, e poi la rogna resta sulle gracili spalle del sindaco di un piccolo paese, con il solo aiuto della Chiesa. Se dobbiamo venire incontro all’Africa, c’è un solo modo: consentire a quelle genti l’autonomia produttiva del lavoro, ma del lavoro a casa loro. E qui? E qui prendiamo tutti i cocchi di mamma e li mettiamo a zappare, previa abolizione dai testi della Media delle famigerate lettere di don Milani dove sta scritto che chi lavora è un disgraziato e chi invece mette le terga sopra una sedia si realizza! Un corollario. San Ferdinando, nome evocativo, nacque come un villaggio dopo la bonifica borbonica del territorio (1818), e il generale Vito Nunziante, eroe della guerra contro i Francesi, lo intitolò al santo del re Ferdinando I delle Due Sicilie. Vi vennero accolti anche detenuti e dissidenti che accettavano di lavorare in sconto della prigione: questa è civiltà, ragazzi! I reazionari Borbone davano case e terra ai contadini, ex carcerati compresi; i buonisti democratici terzomondisti ammassano poveracci sotto le tende e sotto la pioggia, piangono e se ne fregano. Un bel progresso, a San Ferdinando, dai tempi dei Borbone! Ulderico Nisticò
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