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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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Come chiameremo l’aeroporto, e un santo dimenticato?
Io aggiungo qualche riflessione di agiografia. Le intitolazioni e i patronati devono avere una logica, o nella storia o almeno nelle pie tradizioni: la Madonna di Loreto è patrona dell’Aeronautica; la Virgo Fidelis, dei Carabinieri; santa Barbara, dei Pompieri e dell’Artiglieria; san Sebastiano, dei Vigili; san Matteo, della Guardia di Finanza; s. Francesco di Sales, dei giornalisti… Ma non risulta che san Francesco di Paola abbia mai volato misticamente, e, non presenta alcuna caratteristica né teologica né storica né di tradizione che abbia a che vedere in qualche modo con dei velivoli e un aeroporto. L’avrebbe con un porto e con il mare in genere, giacché attraversò lo Stretto sul suo mantello (ma i vecchi marinai erano più devoti a san Francesco Saverio); l’avrebbe con la vita militare per interposto Nicolò Picardo, come abbiamo dimostrato in un precedente pezzo; l’avrebbe con l’economia, perché, spezzando una moneta, mostrò al re che grondava del sangue dei poveri: monito di grande attualità. Con il volo, niente; e nemmeno con il turismo, in quanto è vero che partì per la Francia, ma è altrettanto vero che non tornò più, il che non è di buon auspicio. No, non c’è alcun motivo per dedicare l’aeroporto a san Francesco di Paola, ed è meglio lasciare tutto com’è. Riflessione maligna finale: come mai questa bella pensata? Secondo me, trattasi di tardiva coda di paglia della Calabria intera. Nel 2007, ricorrendo il quinto centenario della morte di Francesco, la nostra amata terra ha segnato uno dei suoi più clamorosi fallimenti, non facendo semplicemente un bel nulla per commemorare l’evento, con l’eccezione dei Padri Minimi. Le tre università, in una delle quali ci sarebbe persino una Facoltà di lettere e storia, mute come tartarughe; scrittori pluripremiati, silenziosi come triglie (di storia calabrese sanno solo: la Magna Grecia senza entrare nei particolari; seicento anni di Bizantini tutti rigorosamente monaci “basiliani”; la fucilazione di Murat con debole nozione di chi fu; l’emigrazione; la mafia e l’antimafia segue cena); Regione, Province, Comuni, GAL, Comunità Montane, afoni come giraffe. I vescovi, accortisi dell’imminenza solo nel novembre del 2006, pensarono niente di meno di invitare il papa, il quale, di fronte all’assurdo di un viaggio improvvisato, disse di no; e quando venne, per conto suo, venne per san Bruno, e della Calabria disse solo terremoti e mafia, nominando appena san Francesco: non era colpa di Benedetto XVI, ma di chi non lo aveva informato! Il 2 aprile 2007 si celebrò una Messa: e volevo pure vedere! Si potevano fare in quell’anno cento cose buone: rapporti con la Francia, la Spagna, Napoli e tutti i molti luoghi dove il santo è venerato; ricognizione dei conventi e loro storia; ricostruzione della storia calabrese del XV secolo, che, accanto a qualche momento difficile come la grande rivolta del 1459, pur presenta Cicco Simonetta e un incipiente ricco umanesimo; e libri, feste, pellegrinaggi; e arrivo di forestieri… Di tutto questo e altro, un vuoto torricelliano come per tutte le altre occasioni culturali. Già, uno dei bubboni più incancreniti della Calabria è la cultura ufficiale e politicamente corretta. A sei anni data, si cerca di riparare con l’inadatta intitolazione? Ragazzi, scherza coi fanti ma lascia stare i santi. Se mai, tra mill’anni, faranno il ponte tra Calabria e Sicilia, glielo intitolerei a buon diritto in grazia della miracolosa traversata, ma con gli aerei, il Paolano non ha nulla a che spartire. Ulderico Nisticò
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