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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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Di dove fu Pilato?
Basta. Mi voglio invece svagare, avvicinandosi la Pasqua e bollendo qualcosa in pentola, a raccontarvi tutto su Pilato, dopo aver precisato quanto segue:
Ciò dunque premesso, diciamo qualcosa di Pilato. Egli compare, come è noto, nei Vangeli, e non ci fa una bella figura, indeciso e compromissorio com’è. Tutto questo è noto. Molto meno noto è che di lui parla Cornelio Tacito, con queste parole: “…Christus Tiberio imperitante per procuratorem Pontium Pilatum supplicio adfectus erat” (Annales, XV, 44), sufficienti ad attestare l’esistenza di colui e a confermare i Vangeli. In verità il titolo di Pilato sarebbe più esattamente prefetto. Si trova cenno a Pilato anche in Giuseppe Flavio e in Filone d’Alessandria. Fine: né i Sacri Testi né Tacito e altri dicono qualcosa circa la sua nascita in qualsiasi posto del mondo, notizia che del resto sarebbe stata ininfluente e inutile. Un personaggio evangelico di tale rilevanza non poteva sfuggire certo alla mitopoiesi, e nei secoli seguenti su Pilato si raccontarono infinite leggende cupe circa la morte nel Tevere, o in un lago dell’Abruzzo, o in cento altri modi. Si diede spazio alla moglie, Claudia Procula, che nel Vangelo ha un sogno premonitore; e la si ritenne persino nipote di Tiberio, che, adottato da Augusto, per sangue era un Claudio. Qualcuno ha detto che Pilato è l’italiano più nominato nella storia, più di Dante e Marconi: trova, infatti, posto nel Credo recitato ogni Domenica in tutto l’orbe cattolico! Quanto all’origine di Pilato, chi ne abbia curiosità può riflettere un tantino. Ha due nomi e non tre, segno di ceto medio e non nobile come sarebbe se ne avesse tre del tipo “Caius Iulius Caesar”; Pilatus significa molto probabilmente armato di giavellotto (pilum), ed è un cognome tuttora diffuso nell’Italia Meridionale, Calabria compresa: Leonzio Pilato si chiamò il discepolo di Barlaam e amico del Petrarca e soprattutto del Boccaccio. Moltissime località ne hanno rivendicato la parentela, della quale io, a dire la verità, più mi vergognerei: non sapeva, infatti, né assolvere né condannare! Pontius è un prenome osco-umbro che corrisponde al latino Quintius, e ci riconduce a un ambiente linguistico e “italico”, sia pure ormai di cittadinanza romana, che andava dall’attuale Romagna a tutto il Meridione, compresi i Mamertini di Messina e dintorni, ed escluse le aree latine. Vana qualsiasi precisazione topografica. Come spuntò che qualcuno volle calabrese Pilato? Ahimè, dir male della Calabria è uno svago che da sempre si pigliano in tanti; e, tra il XV e il XVI secolo, si fece a gara a chi ne trovava di peggio. Il padre Fiore dedica gran parte del suo lavoro a difendere la Calabria dalle calunnie. Leggete: Giovanni Fiore, Della Calabria Illustrata, Tomo I, a cura di Ulderico Nisticò, Rubbettino 1999; e poi gli altri due Tomi del 2000 e 2001, magari. Quando i detrattori lessero Tito Livio, non parve loro vero! Trovarono, infatti, che, dopo la Seconda guerra punica, Roma punì i Bruzi ancora ribelli riducendoli a schiavi pubblici; e la notizia è ripresa da Aulo Gellio. Dedussero che a questi schiavi venivano affidati i lavori più sporchi, tra cui quello di boia, e che perciò dovevano essere calabresi i crocifissori di Nostro Signore! A questo punto, ci infilarono Pilato loro capo e istigatore, e lo fecero calabro pure lui! Più di recente qualcun altro scoprì che cosa? Che nella Palestina del I secolo c’era una Legio Fretensis, chiamata così perché veniva dallo Stretto, Fretum Siculum. Detto fatto, sono calabresi anche i soldati di scorta al Calvario! Insomma, molto prima dei professionisti antimafia segue cena che si fanno i soldi parlando male del proprio popolo, la Calabria se l’è passata già grama nei secoli che furono. Volete vedere che anche i vigliacchi anonimi quadrupedi si possono rendere utili, se mi danno il destro di raccontarvi un po’ di storia condita di filologia? Ora, per dirla con Pilato, me ne lavo le mani.Ulderico Nisticò ARTICOLO CORRELATO
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