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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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Diciamo qualcosa sull’Aspromonte
Ad onta dell’etimologia apparente, il nome non significa monte scosceso, aspro, ma deriva con ogni probabilità dal greco àspros, bianco; e non per il colore, ma come tutti i luoghi d’Italia che hanno a che vedere con la radice alb, segno della presenza dei Siculi, il popolo indoeuropeo affine ai Latini che attraversò la Penisola: le Alpi e il Monte Bianco; i molti luoghi chiamati Alba, il più famoso dei quali la latina Alba Longa; Albula, l’originario nome del Tevere secondo Plinio… I Siculi, presenti, come sappiamo, anche a Soverato, sono attestati da Tucidide come un popolo identitario ancora ai tempi dello storico, il V secolo a.C.; i più erano passati nell’isola cui alla fine diedero il nome. Quando i Locresi erano giunti sulla costa ionica (fine VII sec. .C.), raccontano Polieno e Polibio, dovettero scontrarsi con i Siculi, e ne ebbero ragione usando l’inganno: giurarono di mantenere la pace finché avessero avuto “la terra sotto i piedi e la testa sulle spalle”, ma volevano dire terriccio e teste d’aglio; e, alla prima occasione favorevole, ripresero la guerra. Come quasi tutte le popolazioni della penisola che un giorno sarà detta Calabria, anche i Siculi aspro montani smarrirono l’identità o fondendosi con i Greci o venendo assorbiti dagli Italici sopraggiunti. O si rifugiarono, gli ultimi, in luoghi inaccessibili? Secondo Tucidide, era siculo anche Italo; ma abitava piuttosto sulle Serre, secondo Aristotele, che lo vuole enotrio. Locri, costretta in un piccolo e disagiato territorio, minacciata da Crotone e Reggio, trovò espansione attraverso i monti, e fondò le subcolonie di Medma (Rosarno) e Ipponio (Vibo V.); queste tuttavia si distaccarono presto dalla madrepatria. Per far ciò, dovette incontrarsi con le popolazioni indigene. Dal sincretismo tra Locresi e indigeni restano tracce nel culto di Persefone, la dea della vita e della morte, e nell’idea di trasmigrazione delle anime fino alla quiete, testimoniata dalle laminette orfiche oggi conservate al Museo vibonese. Si parlava già in età classica di molte Sibille, e nacque anche, in tempi umanistici, la credenza in una Sibilla Locrese, derivata da quella, più attestata, della Sibilla Sicula o della Sibilla Apppenninica. Questo mito antico e ancora vivo, che ha la sua sede in Polsi, rende fascinoso e arcano l’Aspromonte come luogo di sincretismo di religiosi e tradizioni. La Sibilla (Scibilia) è una donna bellissima e ambigua, e fa da maìstra di ricamo alle fanciulle: una di queste è Maria. Di lei la Sibilla, profetizzando, viene a sapere che sarà la Madre di Dio, e, colta da invidia, le muove ogni sorta di guerra: dallo scontro derivano molti miti eziologici, quali l’origine del pane, delle nuvole… Infine la Sibilla si rassegna, e trova rifugio in una grotta. Qui attira i maschi, e nessuno ne è mai uscito. Per i bambini, se ne racconta una versione più truce ma meno scabrosa: allettò un vecchietto per mangiarselo! Il mito della Sibilla spiega molte cose su cui si parla non troppo a proposito. Si pratica in Polsi – o si praticava fino a pochi anni fa? – un rito parimenti antichissimo di sacrificio animale alle acque (“inficiet rubro sanguine rivos”, canta Orazio); e solo sull’Aspromonte, dicono, si trovano gli operatori di magia nera. La commistione tra sacro e profano è ben nota, e qui non è il caso di parlarne se non per rilevare l’ambivalenza del concetto di sacro, che non coincide, purtroppo, con santo. Polsi, già Popsi o Mopsi, è un cenobio, poi santuario di secolare venerazione. Si narra che un pastore di nome Italiano trovasse un’immagine della Madonna, e queste gli ordinasse di edificare il santuario. La festa della Madonna della Montagna è tra le più venerate e partecipate. Una leggenda, sicuramente tarda, vuole che il rifugio di papa Silvestro prima di essere invocato da Costantino e ottenere l’editto di tolleranza del 313 – o, niente di meno, la Donazione dell’Occidente! – non fosse il monte Soratte presso Roma, ma l’Aspromonte. *** Nel 1189 venne recitata ai Crociati la Chanson d’Aspremont, che cantava una spedizione di Carlo Magno con al seguito il giovanissimo Orlando (Orlandino) in difesa di “Risa”, identificata con Reggio, assalita dal re saraceno Agolante. A scanso di equivoci e di petulanze, dichiaro che re Carlo qua da noi non venne mai. Si narra una grande battaglia di Bagnara. Tra gli eroi, ha spazio Ruggero di Risa. La sua figura va crescendo nel genere letterario carolingio, divenendo protagonista di un romanzo anonimo del XV secolo, Aspramonte, e di altre opere. Ruggero s’innamora di Guarnicella, figlia di Agolante e donna guerriera; questa si converte e sposa Ruggero, che però viene ucciso per gelosia dal fratello Beltrame. Vi dice qualcosa, il Beltrame? Guarnicella fugge, e dà alla luce due gemelli, Ruggero e Marfisa, figli di Ruggero di Risa, che sono tra le figure dell’Orlando Innamorato del Boiardo, e protagonisti del Furioso dell’Ariosto. Ruggero, sposando Bradamante nipote di Carlo Magno, è, encomiasticamente, l’antenato degli Estensi duchi di Ferrara: com’è piccolo il mondo! Non mancano episodi più recenti e più veri. Nel 1059 il vescovo di Cassano e il preposto di Gerace combattono sfortunatamente a San Martino contro Roberto Guiscardo e Ruggero suo fratello. Garibaldi, fermato da Vittorio Emanuele a Teano e relegato a Caprera, nel 1862 evase e sbarcò in Calabria; i bersaglieri di Pallavicini, ahimè senza gli scrupoli e i “ci devo pensare” dei soldati borbonici di due anni prima, gli spararono addosso sull’Aspromonte. Nel settembre 1943, quando gli Angloamericani avevano già occupato la Sicilia e messo piede in Calabria, e, l’8, l’Italia si arrese, alcuni reparti della divisione paracadutisti Nembo non accettarono di deporre le armi, e continuarono a combattere; dura battaglia fu quella dello Zilastro. Ritiratisi verso la Sila, giunti a Soveria Mannelli si diedero il motto “Per l’onore d’Italia”, che verrà adottato dalle Forze armate della Repubblica Sociale Italiana. Una piccola raccolta di racconti, Gente in Apromonte, è la sola opera di Corrado Alvaro ispirata alla Calabria. L’Aspromonte è anche Gambarie, apprezzata stazione sciistica. Ulderico Nisticò
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