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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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Figlio di emigranti
Voglio qui toccare un altro e curioso argomento. Jorge Mario Bergoglio è figlio di italiani emigrati molti anni fa in Argentina. Già l’Argentina è popolata o di spagnoli o di italiani, tutti figli di emigrati. L’emigrazione, piaga… e qui mi pare di sentire i lacrimatoi degli Abate e dei Gangemi, e di tutti quelli che all’emigrazione ispirano le loro alate pagine e affidano loro la speranza di successo e lunghi passaggi al TG3 Calabria… Solo che il padre del papa era della provincia di Asti, e la madre per metà ligure; mica di Catanzaro o Cosenza. Eh, anche la mamma degli Appennini alle Ande era genovese, mica di Reggio e Crotone e nemmeno l’allora Monteleone oggi Vibo. Già: quando, alla metà dell’Ottocento, le Americhe, prima il Sud, si popolavano di italiani che fuggivano la fame, questi erano piemontesi, liguri, veneti, soprattutto veneti, poi anche lombardi, romagnoli, e toscani: La porti un bacione a Firenze… Poi, ma solo verso la fine del secolo e ai primi del XX, venne il momento dei Meridionali. A questo punto qualcuno penserà che anch’io abbia portato il cervello all’ammasso dei lettori di Pino Aprile, e mi vada inventando la bufala che eravamo ricchissimi e niente di meno che la terza potenza industriale d’Europa, e sono arrivati i cattivoni a prenderci il tesoro. Tranquillizzatevi, non è così. Intanto premetto che alla metà dell’Ottocento in tutta Italia, dalle Alpi a Pantelleria, c’erano meno fabbriche che nella sola Manchester; e che il Meridione era pari al Settentrione non perché il Meridione era ricco come il Settentrione ma perché il Settentrione era povero come il Meridione; solo che il Meridione aveva, un po’ meglio, l’economia di sussistenza, che consentiva di mangiare senza troppa prestazione d’opera. Dieci milioni di sudditi del Regno delle Due Sicilie vivevano, beh, campavano, senza bisogno di emigrare; e, a dire la verità, senza manco bisogno di ammazzarsi di fatica… C’erano poi nuclei industriali: Pietrarsa, Castellammare, Mongiana; e una rete di piccole e medie aziende artigianali. L’altra area industriale d’Italia era attorno a Torino e Genova; la Lombardia aveva piuttosto piccole e medie aziende. Tra Nord e Sud c’era una divergenza inconciliabile nei sistemi economici. Il Piemonte era anche istituzionalmente liberista, e ciò comportava che i rapporti tra datori di lavoro e operai fossero regolati solo dalla contrattazione individuale, senza alcuna tutela legale; lo Stato, disinteressandosi di ogni questione sociale, sviluppava le infrastrutture, in particolare le ferrovie, indebitandosi ai limiti della bancarotta. Nel Sud l’industria era, per usare una metafora fuori tempo, a partecipazione statale o statale e basta; ciò tutelava gli operai (le case di Mongiana credo che se le sognasse non l’operaio, ma il ceto medio di Londra o Parigi), ma, come tutti gli interventi statali della storia, causava una lentezza di innovazione; e il Regno, del tutto esente da debiti esteri, accumulava invano denaro non speso: il che è uguale a non averlo, tipo i fondi europei quando la Regione li rispedisce indietro. Un giorno S. M. Ferdinando II decise la ferrovia Napoli – Bari – Reggio; la progettò; la finanziò, tanto soldi ne aveva a strampendere, e, rinvia oggi, discuti domani, non si fece! Vi ricorda l’A3, la Superstrada delle Serre? Vizi nuovi, vizi vecchi dei Meridionali. La fecero i Piemontesi con i soldi nostri: nel 1875 era già arrivata a Soverato! Quando le industrie meridionali, ormai divenute italiane, chiusero per una precisa volontà di uno Stato estraneo di non sostenerle e la solita vile incapacità dei nostri deputati, quando la proprietà privata prese il posto degli usi civici, ecco che anche i meridionali dovettero emigrare; e lo fecero, no, lo subirono nella maniera peggiore, senza essere indirizzati, assistiti, rappresentati… “io so’ carne e maciello, io so’ emigrante”. Sarà per questa ragione che al Sud l’emigrazione è stata sentita come un’ingiusta violenza, e mai come una scelta, un’avventura, l’ebbrezza di cambiare vita? E che il calabrese, dopo quattro generazioni, torna a pensa che la vecchia casa diruta sia in fondo la sola casa sua? Ulderico Nisticò
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