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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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Di dov’è lo sparatore?
Per carità, Preite è di Rosarno, che è in Calabria, perciò è un calabrese. Se però fosse stato di San Benedetto del Tronto o di Gressoney o di Albenga, i giornalisti lo avrebbero sì detto, però una volta sola, il giusto, e non avrebbero ripetuto a tutto spiano “ligure”, “abruzzese”, “valdostano”; mentre l’informazione principale a proposito del detto Preite è, nelle tv di ieri e sui giornali di oggi, che è calabro; anzi, asserisce una gentile commentatrice, “calabrese, quindi legato alla mafia”. Gli sparuti gruppetti meridionalistici se la pigliano con Lombroso, un personaggio di cui fino all’anno scorso ignoravano chi fosse mai stato, e oggi odiano come Annibale alle porte; o pensano a una congiura a seguito di quella che permise lo sbarco di Garibaldi… E invece la colpa è tutta nostra, nostra degli intellettuali, nostra dei giornalisti, nostra dei politici, e nostra soprattutto dei professori. Sopportate la noia di vedere il TG3 calabrese… beh, cosentino e varapodiese, per la verità; praticamente ogni giorno due o tre servizi su un convegno antimafia (segue cena), quasi tutti a scuola; cioè, come tutti sanno meno il TG3, progetti del Collegio dei docenti, quindi divenuti un obbligo, e i ragazzi non si offrono volontari con entusiasmo come dice il commentatore, ma vengono portati in fila per due, ben lieti di saltare qualche lezione! Ovviamente il progetto è “incentivato”. Chi è o è stato nella scuola conosce bene questi meccanismi. Ma se un forestiero vede il TG3, cosa pensa: che l’unica realtà della Calabria sia la mafia, che nelle scuole calabresi non si studi l’aoristo o il teorema di Pitagora, ma la mafia, ovvero, in alternativa, l’antimafia, segue cena. Un calabrese fuori dai confini regionali sarà dunque un mafioso, fosse anche un onesto operaio, un dotto professore, un turista di passaggio, un poeta, un alto funzionario… macché, sempre un mafioso. Peggio, anche la mafia viene presentata in maniera del tutto inesatta da gente che non sa quello che dice, con rare eccezioni; e si fa credere sia delinquenza e violenza comuni, e che io, per esempio, se esco la sera con Vento, Nino e Judy (sono tre cani, non nomi di copertura di sicari prezzolati!), vengo immediatamente rapinato della vecchia tuta e delle povere scarpe da tennis, o, se ho un euro in tasca, dell’euro; oppure picchiato a gratis; e se fossi una donna, sarei subito sottoposta a violenze da marchese De Sade (a proposito, questo mascalzone era francese, mica di San Luca; e grande uomo di cultura, mica analfabeta). Quando poi un milanese o torinese arriva a Soverato e vede che la gente, compresi ragazze e cani, deambula sul Lungomare a notte fonda e non li violenta e rapina nessuno (anzi, poveracce, tante ragazze manco le guardano!), comincia a dubitare delle bufale del TG3, dei professori e degli antimafia segue cena. La mafia esiste, eccome, ma è una cosa seria e tragica, non un’accozzaglia di ubriaconi e bulletti; e, peggio che peggio, non rapina la povera gente, ma la paga e così se la fa amica, più amica di uno Stato che è presente solo come Equitalia! Questa è la triste verità. Tenete conferenze di fronte a pubblico qualificato? Rappresentate spettacoli con decine di attori e testi e regia di altissimo livello? Pubblicate libri? Il TG3 non viene, i politicanti sono assenti. Arriva un giudice sfaccendato a ripetere lo stesso discorso dell’anno passato segue cena? Si fiondano tutti come mosche sul miele! Ovvio che l’immagine della Calabria sia legata solo a mafia, delinquenza, ignoranza, miseria… Perciò se uno di Parma lascia la macchina in divieto di sosta, è un automobilista indisciplinato; se fa ciò uno di Reggio o di Praia a mare, è un mafioso. La colpa è senza dubbio nostra, non di Lombroso. Poi ci sono quelli che, per reagire, pascolano bufale: qui sbarcò Ulisse, questo è il più bel mare del mondo, mio nonno era barone ma si giocò tutto alle carte (e giù risata!), qui fu la Magna Grecia, Mongiana era la più grande industria d’Europa… Non giovano a nulla, e ottengono solo sguardi di compatimento. La Calabria ha bisogno di verità e di misura: la mafia c’è, ma è molto più probabile venire accoltellati da un cortese ospite spacciatore a Roma e Torino che nelle forre dell’Aspromonte; la Magna Grecia ci fu, ma era finita già nel IV secolo a.C.: lasciò un patrimonio archeologico e storico, ma non se ne cura quasi nessuno; i problemi economici sono gravissimi, ma almeno per metà hanno per causa l’assistenzialismo svirilizzante, e questo per metà è colpa dei politici e per l’altra metà delle mamme; i politici sono men che mediocri, però li eleggiamo noi e non scendono da Marte; di intellettuali e laureati ce n’è una folla, solo che fanno quasi tutti i pesci in barile e non esprimono alcun pensiero che possa dare fastidio anche all’usciere dell’assessorato. Eccetera. Urgono dunque una moratoria dell’antimafia con o senza cena; una riflessione sull’immagine che noi stessi diamo di noi; una calabresità non pacchiana e non gridata e nemmeno piagnona; la conoscenza del territorio e della storia e della sociologia, in atto assai carente o vittima di comodi luoghi comuni. Se no, la prossima volta che uno nato a Cardinale o Rossano o Cardeto ne farà una più o meno grossa, aspettiamoci che tutta la Calabria, me compreso, venga tacciata di crimini eccetera.Ulderico Nisticò
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