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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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Il cigno nero e il brutto anatroccolo
Mentre meditava meditava, e intanto zappettava in campagna, gli accade un evento davvero miracoloso. Colpì una zucca secca sepolta nella sabbia, e, meraviglia, ne uscì una splendida Fata. “Grazie, grazie: devi sapere che io ero lì per incantesimo di una cattiva strega, e ora che finalmente sono libera, per dimostrarti la mia riconoscenza ti posso esaudire un desiderio”. Uno, borbottò tra sé il cigno, e giunse alla conclusione che quella era una Fata taccagna. “Ma no, non pensare a male: è che io sono una Fata del Sud, sottosviluppata, mica una Fata di Milano: uno, ne ho!” L’eterna questione meridionale, anche metafisica. Rassegnato, il cigno decise però che era giunta l’ora di risolvere tutti i suoi problemi, e, timido timido, parlò all’orecchio della magica creatura. Questa restò basita, ma una promessa è una promessa: e compì il suo prodigio. Fu così che il cigno nero bellissimo si ritrovò in una amen un giallo e buffo pulcino, un brutto anatroccolo. Da quel momento la sua vita cambiò in meglio oltre ogni pennuta aspettativa. Per prima cosa, scrisse in due ore un libro antimafia segue cena, in cui dimostrava che solo la scuola e la cultura possono estirpare dalla Calabria questa piaga secolare: e fu un turbinio di inviti nei Licei, cittadinanze onorarie, premi letterari, acquisti di copie; il Corriere della sera e Repubblica, RAI 1, 2, 3, la 7 facevano carte false per intervistarlo, bene inteso a pagamento profumatissimo; il TG3 calabrese lasciò persino Cosenza e Varapodio per gettarsi ai suoi piedi palmati. Il libro venne tradotto in inglese, tedesco, turco, nordcoreano, swahili e dialetto del Guatemala (a questo pensò Ingroia), nonché in italiano. E già, perché, essendo ormai egli un brutto anatroccolo e non più il cigno nero, aveva scritto nel più piatto e scolastico e pesante italiese italocalabrese balbettoso. Venne perciò insignito della Gran Croce di Commendatore dell’Ordine del Pollaio, nel corso di una solenne cerimonia con cardinali, ministri e signorine allegre, ripresa anche dalla televisione di Stato delle isole Tonga. Tuttavia il brutto anatroccolo non era ancora soddisfatto, sentiva che gli mancava qualcosa. La cultura, ovviamente, gli mancava interamente ormai, e non ne sentiva minimamente il bisogno, anzi si era tanto scordato il greco da prendere sul serio la traduzione di Wolf e credere allo sbarco di Ulisse a Tiriolo. E giù cittadinanza onoraria del montano borgo. Confondeva le date, e pensava che nel 1860 c’erano ancora gli Spagnoli, come certi storici di sua conoscenza: storico! Parlando di Roma 1870, si faceva un dovere di deprecare il non possùmus come il professore universitario che sconosce si dica pòssumus. Con la cultura aveva chiuso ogni rapporto, e perciò lo fecero consulente regionale come ai bei tempi di don Peppino Chiaravalloti. No, all’anatroccolo mancava il capolavoro, l’opus maius (oepa mei, direbbero i giornalisti che pensano sia inglese!), lo scritto cui affidare non la gloria, quella l’aveva prima e non rendeva soldi, ma il conto in banca. Detto fatto, scrisse in mezzora un romanzo sugli emigranti infelici e miseri… e, colpo di genio, a metà del lavoro c’infilò che l’emigrante poveraccio e disgraziato non solo era disgraziato e poveraccio e tale rimasto anche in America, ma viene taglieggiato dalla mafia; per consiglio di un fegatoso professore delle Medie serali (la cultura, si sa, rende eroici!), trova il coraggio di reagire; e il boss del quartiere, uomo crudelissimo e analfabeta (vedi sopra), per punizione taglia i baffi al di lui gatto Fuffi, il quale, gatto antimafia segue cena, si vendica e lo graffia, e lo onorano di medaglia d’oro come Scalfaro fece con la fantasiosa Cerminara che non era vero un bel niente. Non ci sto! Fu l’apoteosi. Tutti i 409 comuni della Calabria che ancora non avevano provveduto lo proclamarono Papero Onorario, tranne Soverato perché era già cittadino anagrafico, e allora pensarono di farlo sindaco. Il libro venne adottato dalle scuole calabresi al posto della Divina Commedia, e se ne fecero otto film non senza scene erotiche, che attirano il pubblico; vinse l’Oscar e la Palma d’oro e l’Uovo di platino. Il massimo della felicità, da quando era un ovvio e prevedibile e strascicato e untuoso brutto anatroccolo invece che coltissimo e raffinatissimo cigno nero di alta classicità e storico, anzi “il più grande storico della Calabria”, però viveva povero e pazzo. Solo ogni tanto egli, quando stava solo in campagna, scoppiava improvvisamente a piangere di nostalgia e di vergogna per come si fosse ridotto. Ma gli passava subito: piangi e fotti, come dicono a Napoli. Ulderico Nisticò, Cigno Nero (tranquilli, ho scherzato!)
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