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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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Chiose all’anatroccolo
Cosa volevo dire? Che la Calabria ha, e non da ora, un problema culturale, intendo della cultura ufficiale lodata e retribuita e premiata, ed è un non so che di artificioso e scolastico e accademico e pedante che rende le calabre manifestazioni culturali così diverse dal resto d’Italia e d’Europa, così poco credibili. La letteratura di tutto il mondo si nutre infatti dell’imprevisto, del contraddittorio. Per esempio, se uno trangugia tutti i Miserabili, alla fine non capisce, e l’autore Hugo non vuole capisca, se i buoni sono buoni e i cattivi cattivi, come alla fine dubita persino quel bacchettone di Javert; se va a vedere il Trovatore, scopre che la strega è una brava persona e viceversa; se studia Manzoni, Foscolo, apprende che quello non usciva mai da casa non perché sant’uomo ma perché agorofobico, e l’altro era inseguito dalla polizia inglese non per alti impeti ideali bensì per debiti; e che il marchese De Sade, noto sozzone e assassino, viene considerato tra i massimi scrittori francesi… e potrei continuare fino a domani ricordando poeti ladri come Villon, mercenari senza voglia come Archiloco e guerrieri per caso come Orazio e invece guerrieri con il massimo gusto come Alceo e Dante; donne sante come Vittoria Colonna e zuzzurellone come Saffo; e morti di fame o sedicenti tali come Ipponatte e Leonida di Taranto, o ricchi e beati come Petrarca… In Calabria, niente di tutto questo, è tutto prevedibile come i temi in classe della Media: se un calabrese scrive un romanzo antimafia (segue cena), i Buoni (lettera maiuscola, in Calabria) sono buonissimi e istruitissimi e disarmati, e i cattivi (minuscola) sono invece ignoranti, brutti e violenti; se è un romanzo d’amore, mai che lei, come ahimè succede nei romanzi e nella vita, sia un pochino zoccoletta, no, lei è brava e casta per via delle pari opportunità, e si ribella in nome dell’emancipazione femminile: a cosa si ribelli, poco conta, si ribella; ovviamente, in Calabria i personaggi di film, romanzi e cose del genere sono tutti poveri, tutti emigrano anche con aiuti paranormali, tutti sono oppressi dalla mafia; professori, studenti, bidelli e presidi, e chiunque anche per caso passi da una scuola sono tutti, ma proprio tutti contro la mafia. Mai chiedere se anche i politici sono un tantino discutibili, come per esempio Maria Grazia Laganà condannata in primo grado per truffa. Se in Calabria qualche intellettuale ufficiale parla di storia – quasi mai – quello che vagamente sanno è: la Magna Grecia, ma non chiedete particolari; i “basiliani”: dal 553 al 1060, tutti monaci, solo monaci, niente altro che monaci, manco una donna; si salta, dopo vaghe contumelie contro gli Spagnoli senza sapere esattamente che ci facevano qui, al 1815, la fucilazione di Murat, che però, per quanto ne dice il professorone ufficiale, potrebbe essere anche morto di broncopolmonite. Qualche coraggioso saprebbe anche accennare all’occupazione delle terre; nessuno all’evidenza che le terre, dopo occupate, furono subito disoccupate e giacciono nel più squallido abbandono. E diciamo, diciamo qualcosa anche degli aspetti propriamente letterari; e qui chi della lingua italiana ha una certa tal qual conoscenza avverte subito, leggendo, che molti degli autori premiatissimi e lodatissimi hanno un rapporto diciamo così casuale: scrivono correttamente, non nego, ma è sempre un po’ in lingua straniera, costruita, studiata, scolastica, monotona come un’insalatina verde senza manco peperoncino. Perché dunque io, nel mio scherzo, sognavo di trasformarmi da cigno in brutto anatroccolo? Perché in Calabria ai brutti anatroccoli danno i premi, gli incarichi, le interviste sul TG3 da Varapodio, i progetti scolastici antimafia segue cena; mentre il cigno nero… bellissimo, il cigno nero, sa persino che tra il 553 e il 1060 ci furono in Calabria anche guerrieri, vescovi, funzionari, contadini soldati… e che Murat venne fucilato in base a una legge firmata da Murat… e della Magna Grecia legge i poeti direttamente nel testo, e siccome legge pure gli altri poeti greci non pensa che i nostri valessero più di tanto… e, ammiratelo, è perfettamente al corrente che Tommaso Campanella non è importante per una congiura sballata e grazie a Dio e al viceré fallita e per un romanzetto scopiazzato dalla Repubblica di Platone e da Utopia di san Tommaso Moro, ma per la Metafisica; e, horribile dictu, che Corrado Alvaro in tutta la sua lunga vita se ne fregò della Calabria, e, a parte un volumetto di novelle piuttosto dannunziane, parlò di tutt’altro: Russia, Turchia, cinema, teatro… insomma, è un cigno coltissimo e trasgressivo, e la lingua italiana la parla dalla nascita, imparando il dialetto da grande e non il contrario; ecco perché non se lo fila nessuno a parte gli elogi gratis, e non fa parte di nessun giro che conta (conta, cosa?); e perché, in momenti di raro malumore, vorrebbe diventare un brutto e ben retribuito anatroccolo. Avete capito? Ovviamente, scherzo: io, cigno, e per di più nero, mi diverto così, cioè a restare nerissimo cigno, e, per dirla in dialetto, duva c’è gustu non c’è perdenza. Se volevo scrivere anch’io romanzi antimafia segue cena e sull’emigrazione di un terzo cugino di zia acquisita, e in italiese piatto come la vita di una sogliola cantata in cd, ci dovevo pensare prima. A quest’ora ero ricco, sorridente… e minacciato dalla mafia con scorta da lunedì e venerdì mattina, orari d’ufficio: il massimo di quello che i provincialotti anglomani chiamano status symbol. Ulderico Nisticò
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