1.
Il rapporto politico inizia nel 1282, con la Guerra del vespro.
La Sicilia si ribella a Carlo d’Angiò, e chiama a regnare Pietro, da lì
a poco Pietro III re d’Aragona, perché marito di Costanza figlia di re
Manfredi. La Sicilia diviene un regno autonomo con i discendenti di
Pietro, finché, morto Martino I senza eredi, gli subentra il padre
Martino II, già re d’Aragona.
2.
Nel 1442 – salvo molti complicati passaggi – morta l’ultima
Angiò, Giovanna II, Alfonso il Magnanimo re d’Aragona e Sicilia diviene
re di Napoli (la locuzione invarrà nel secolo seguente), dove si
trasferisce; lascia poi Sicilia e Aragona al fratello, e Napoli al
figlio Ferrante I.
3.
A questi succedono Alfonso II, Ferrante II e Federico, ma la
debolezza della dinastia espone il Regno a minacce francesi e spagnole.
Nel 1503 Ferdinando d’Aragona diviene re di Napoli (qui, Ferdinando III).
Gli succede il nipote Carlo d’Asburgo, poi Carlo V; a questi Filippo II,
Filippo III, Filippo IV, infine Carlo II, rappresentati a Napoli da un
viceré iberico: straniero, perché solo uno straniero poteva tenere a
bada i riottosi meridionali! Si tratta di unione personale, non di
“dominio” coloniale: il Regno conserva le sue istituzioni, anzi rafforza
il sistema giuridico giustinianeo, che, grazie ai grandi giuristi e
avvocati napoletani (ricordiamo il nostro Gian Francesco Paparo, XVII
secolo), raggiunge altissimi livelli di efficienza e di giustizia.
4.
Nel XVI secolo la Calabria attraversa un lungo periodo di
prosperità grazie all’amministrazione efficiente dei feudatari e
all’industria della seta; incombe il pericolo turco, e vengono eretti
castelli e torri cavallare, il che grava sulle finanze e del Regno e dei
Comuni. Inizia una serie di devastanti terremoti.
5.
Nel secolo seguente il troppo vasto impero castigliano entra in
crisi. Episodio degno di rilievo è quello del 1647, noto come di
Masaniello, che viene sentito dai contemporanei come un vero scontro di
classi sociali. Carlo II è ammalato e senza eredi, e si affacciano
ipotesi per la sua morte; stranamente, visse invece a lungo, per quanto
poco capace.
6.
Nell’anno 1700 gli succede il pronipote Filippo V di Borbone;
scoppia la Guerra di successione spagnola; la Sicilia passa ai Savoia,
poi scambiata con la Sardegna; questa, Napoli e Milano, agli Asburgo
d’Austria. Nel 1734 la Guerra di successione polacca porta sui troni di
Napoli e Palermo Carlo di Borbone, figlio di secondo letto di Filippo V,
ma come sovrano indipendente.
7.
Tra luci e ombre, il vicereame spagnolo assicura l’ordine,
difende il Regno dai Turchi (battaglia di Lepanto del 1571), garantisce
la giustizia penale e civile.
8.
Cosa rimane di spagnolo nella tradizione calabrese? Qualche
toponimo come Imbarro di Tiriolo; Razzona di Cardinale; Villa Aragona,
oggi Andali...; molti cognomi: Aragona, Blasco, Catalano, Franco,
Gerona, Giamo, Linares, Lopez, Marincola, Pelaggi o Pelagi, Sandoz,
Scibilia, Spagnuolo, Valensise...; non molti termini: nignu,
bambino; nel XVII secolo, sultiera/o per nubile e scapolo;
secondo alcuni, mi spagnu, se non deriva dal greco spànios,
carente; portugallu per arancia; ‘ndianu per mais;
garhu ‘ndianu per tacchino (Indie Occidentali, America). C’è qualche
traccia di rapporto con le Americhe spagnole: cognome Guaranì, glifi
“aztechi” di S. Giovanni in Fiore, figure nude di donne amerindiane a
Squillace…
9.
L’immagine negativa, o, piuttosto, buffa (Manzoni) e truce
(Alfieri) della Spagna, che domina la cultura ufficiale, deriva,
soprattutto attraverso i Promessi Sposi, dalla cultura francese, che è
nazionalista, esalta tutto ciò che è francese e odia o disprezza tutto
il resto, e che gli Italiani si bevono come fosse “scientifica” davvero;
si aggiunga la legenda neyra antiasburgica dei protestanti e
massoni, immortalata dai versi del Carducci. Lontani dal metodo banale,
oggi di moda, del revisionismo automatico (se l’avversario dice nero io
dico rosso e mi scappa l’applauso!), bisogna restituire il periodo di
unione italospagnola alla verità storica.
10.
Italia e Spagna hanno separato le loro sorti nel XVIII secolo.
Bisogna ricongiungerle nel nome della cultura latina comune e di
obbiettivi interessi mediterranei, quasi un fronte meridionale nei
confronti di un’Europa troppo nordica.