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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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Il frutto delle scelte sbagliate
Fino anni 1960 Soverato non era, come si dice, la migliore località del Medio Ionio, la verità è che era l’unica da Crotone a Roccella. Chiunque abbia la mia età ricorda l’inesistenza di Davoli Marina e Montepaone Lido… ma no, Muscettola; e qualche casa popolare a Badolato e Caulonia. Soverato, rispetto al nulla, era cento anni più avanti: le scuole, gli uffici, i servizi, ancora dell’artigianato di qualità, i commerci all’ingrosso; gli stabilimenti balneari, presenti davvero nel 1881 (allora ce n’erano a Venezia, in Liguria, a Viareggio, a Napoli e Sorrento, a Palermo, Taormina, e basta!), attiravano, per l’epoca, un turismo di buon livello. Ma intanto la costa si sviluppava demograficamente – malissimo, ma si sviluppava. Sarebbe occorsa – lo dico con il senno del poi – un’idea del territorio, una sorta di piano regolatore di vaste dimensioni, che utilizzasse le potenzialità dei vasti spazi di Davoli e Laganosa per dislocarvi le attività artigianali e industriali, servite da strade ampie e moderne; e la costa per un turismo organizzato e non lasciato a se stesso. E invece Soverato, come fosse rimasta sempre l’unica, attirò ogni cosa possibile e ogni contraddizione urbanistica e sociologica: le scuole superiori statali; l’ospedale; i bar; le caserme; i ristoranti; gli uffici; il turismo; e tante, tantissime abitazioni, tutte poste dove invece andavano concepiti alberghi e attrazioni… Chi doveva abitare quelle case? Il ceto terziario impiegatizio, il contrario di ogni prospettiva imprenditoriale. L’asfittico territorio cittadino, solo 7,5 kmq per oltre metà inutilizzabili, fu subissato da una concentrazione di popolazione eterogenea e scarsamente amalgamata, posta tutta in periferie prive di ogni servizio: via Amirante, via Trento e Trieste, Panoramica… quattro quinti del territorio urbanizzato, mentre la zona commerciale restava quella del 1950: dal passaggio a livello alla stazione. Peggio, si trovò inscatolato tra due più o meno sedicenti zone industriali: la sua di Turrati e quella di Satriano. Negli anni 1960 il sogno di ogni collinare e montanaro era vivere a Soverato, e giù case a prezzi enormi. Poi i montanari e collinari si accorsero che con metà dei soldi di un appartamento a Soverato si facevano la villa megagalattica a Novalba e a Cenadi e S. Antonio, e addio scesa al mare. Gli appartamenti finirono affittati in nero e senza controllo di ordine pubblico: quelli che c’erano negli anni 1970-90 ricordano le mandrie umane accampate a dormire sui balconi! Il turismo intanto degenerava in balneazione. Negli anni 1950 Soverato offriva al forestiero tutto quello che negli anni 1950 poteva desiderare: mare, pizza… Nel 2013 continua a offrire mare e pizza, mentre i gusti e le esigenze sono radicalmente mutate e cresciute, solo che non se ne è accorto nessuno, e il nostro modello resta quello dei Vitelloni. Di anno in anno, siamo arrivati al vuoto torricelliano di luglio 2013. Anche i servizi stanno venendo meno piano piano, mentre sono finite le attività di commercio all’ingrosso e artigianali. Si può fare qualcosa, sia pure in grandissimo ritardo? Beh, direi di sì: Mi diranno tutti che ci vedremo a settembre. L’anno, resta da precisare. Ulderico Nisticò
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