|
Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
Numero 568 - Per eventuali Commenti su questo articolo scrivere a: info@soveratoweb.it |
Calabresità sbagliata e canzonette
Pensai poi alle sorelle Bertè, Loredana e Mia Martini, nate a Bagnara, e che in tutta la loro carriera di validissime e affermate cantanti non fecero mai il più pallido accenno alla Calabria manco per sbaglio, bensì affrontarono temi di tutti i viventi umani, in particolare non la “condizione femminile” ma la natura esistenziale dell’essere donna, che è comune a tutte, dalle schiave alla regina Vittoria, per il solo fatto di essere donne, fascino e maledizione e bellezza del loro fato. Non si sognarono di pensare, alla Chaouqui maniera, stupidaggini quali quella che essere donna in Calabria sia tanto differente da esserlo a Tokyo o a Casalecchio sul Reno. Non so quanto hanno guadagnato di soldi, sappiamo anche della fine tragica di Mia, ma restano pietre miliari della vera musica e vera canzone. Ecco dunque che si può anche nascere, e anche vivere in Calabria senza per forza cadere nei luoghi comuni, quelli, per capirci, della ingiustamente celebre brutta prosa gabellata per poesia di Leonida Repaci Il giorno della Calabria, dove si leggono due bufale: che la Calabria è la terra più bella del mondo e che la Calabria è la più disgraziata del mondo medesimo: ovvero la versione letteraria di “mio nonno era barone ma si giocò tutto alle carte”, segue risata. Ovviamente non è vero nulla di ciò: alcuni paesaggi calabresi sono imponenti e variegati, sebbene mai ameni; e la storia calabrese è, tutto sommato, nella media di ogni altra; un po’ più alta la media dei danni per terremoto, ma allora, che dovrebbe dire il Giappone? La nostra amata terra è mediamente bella, mediamente brutta, mediamente prospera e mediamente povera come quasi tutte le altre di questo pianeta tranne Atene di una volta (duemila e più anni fa!), Roma, Firenze del Medioevo e Milano di oggi; o, al contrario, il Calahari. E la nostra storia se mai ha un brutto difetto, che non successe quasi mai niente di tragico, di grande, di eroico, di crudele; e perciò invece dei Dante e dei Foscolo e dei Michelangelo e dei Leopardi abbiamo i Gangemi e gli Abate del piagnisteo educato e mai protestatario: se no, mica glielo paga il soggetto, la RAI. E un mio amico che non nomino per affetto, scivolato anche lui nella china della calabresità retorica e sulla via delle non scienze: ovvero quando antropologia, sociologia, psicologia (e teologia!) diventano quello che i Francesi chiamano spiritosamente philosophie fin de table, cioè accozzaglie di banalità di terza e quarta mano e reminiscenze di mediocre liceo. Insomma, si può nascere e vivere in Calabria, e restare calabresi, senza per questo chiudersi nel lacrimatoio non senza risvolti furbastri, o nell’esaltazione di glorie remote, in genere attribuite alla Magna Grecia tanto non ne sa niente nessuno ed è come l’Eldorado. A proposito, fuori i numeri anche a proposito di criminalità. Secondo Il sole 24 ore, mica l’Eco di Fontanasecca, la prima città criminale d’Italia è Milano; al 57mo e 73mo posto le calabresi Vibo Valentia e Reggio Calabria; le altre località calabre, nemmeno nominate. Volete vedere che quello criminale non è affatto il primo problema della Calabria come ci ripetono ogni giorno? Non glielo dite a quelli dei convegni antimafia e legalità segue cena, rischierebbero di andare a letto a stomaco vuoto. Ulderico Nisticò
Per eventuali Commenti su questo articolo scrivere a: info@soveratoweb.it |
|