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Egli era, a scuola, il primo della classe nel senso di secchione;
i compagni lo sfruttavano per farsi passare i compiti, ma non lo
invitavano alle feste; e, se mai, le ragazze non se lo filavano. Gli è
rimasta la voglia, e la sfoga con elucubrazioni di teorie bislacche.
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Da grande restò sempre isolato, essendo incapace di banale
conversazione sul più e sul meno, ma solo di tenere conferenze.
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Pigro mentalmente, lo è anche nel corpo: non cammina, non va in
bici, non coltiva campi, non nuota d’estate; non fa altre cose che qui
non preciso.
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Se è diventato professore universitario, il suo percorso fu
costellato di umiliazioni e borse portate al professorone. Si vendica
perciò con greve pesantezza e autorità piuttosto usurpata.
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L’intellettuale parla italiano acqua distillata, incolore inodore
insapore, l’italiano del tema da otto, senza la benché minima
originalità; di conseguenza, è così che pensa.
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L’intellettuale calabrese conosce la Calabria attraverso i libri,
meglio se dei “viaggiatori forestieri” di due secoli fa; e mai lo sfiora
il dubbio che quelli, in una settimana di veloce passaggio, possono
anche aver capito poco e male.
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L’intellettuale è utopista, una specie di Gioacchino e Campanella
all’amatriciana, della domenica; però vive in un mondo perfetto, e,
privo di senso del reale, non sopporta la benché minima macchiolina sul
suo quadro di futura felicità. Siccome la felicità non esiste (e se
esistesse sarebbe insopportabile per più di cinque minuti), qualunque
contrarietà lo rende infelice.
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L’intellettuale è pertanto carente di ironia, e figuratevi
l’autoironia; anzi è serioso e prende tutto sul serio, persino i
convegni antimafia segue cena.
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L’intellettuale è ignorante capra di tutto ciò che non sia la sua
specializzazione in senso stretto. Se, per esempio, sa tutto (?) sui
terremoti della Calabria nel XVIII secolo, sconosce che in Giappone di
terremoti peggiori ce n’è almeno uno l’anno. Si può così dimostrare che
in Calabria l’ignoranza è direttamente proporzionale al titolo di
studio. Esclusi i presenti, ovvio.
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L’intellettuale è pesce in barile di fronte a qualsiasi problema;
non prende mai posizione su niente, tranne che sulla mafia, bene inteso
senza fare nomi, e segue cena. Mai una critica alla Regione, Provincia,
Sindaco… se è liberalmassone, condanna con sdegno quale causa di tutti i
mali il dominio spagnolo, dopo aver controllato sul testo che è finito
nel 1708; se è, alla moda, pseudoborbonico, disprezza Garibaldi defunto
nel 1882. I vivi, non sta bene, non si nominano, possono sempre comprare
qualche centinaio di copie, raccomandare alla RAI, elargire premi e
sussidi...
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Depresso e con scarso o nessun rapporto con il mondo vero, il
calabro intellettuale trangugia ogni teoria, mai avendo a che fare con
l’Angelo del dubbio: perciò è illuminista. L’illuminismo è finito verso
il 1790.
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In versione terra terra, è pronto a sbarchi di Ulisse, nascite di
san Gennaro e altri, templari, Santi Graal, Pitagora erbivoro e
qualsiasi altra bislacca elucubrazione da letture mal digerite.
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Ultimamente, cioè ultima aberrazione, egli coltiva l’ottimismo,
in palese contrasto con la sua faccia patetica e l’italiano impacciato:
il Sud è una risorsa, diventeremo tutti presto ricchissimi; bene inteso,
senza prestazione d’opera.
La Calabria è l’ultima tra le regioni d’Europa: sarà
anche colpa degli intellettuali?