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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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Megaliti e rimozione
Nel caso di Nardodipace, dott. Basciano, si tratta invece di rimozione, quando uno non ricorda le cose perché, inconsciamente, le ha voluto dimenticare. E poiché lei è molto giovane e forse non ha assistito ai fatti, devo raccontarglieli, e capirà meglio perché in Calabria è difficile avere a che fare con il patrimonio culturale. Verso il 2001, uno studioso locale, Nadile, ha preso atto della presenza di questi megaliti, da sempre oggetto di leggende su diavoli e tesori; si rivolse al prof. Guerricchio dell’UNICAL Ingegneria, geologo, che ipotizzò un’azione antropica nella disposizione dei ciclopici massi. Invitato dal sindaco pro tempore, io in un Consiglio Comunale aperto dissi, e ripetutamente scrissi su più fogli: Tucidide, Aristotele, Antioco, Diodoro Siculo parlano di un re Italo, re dei Siculi o degli Enotri. “Tramandano i racconti degli abitanti di lì che un certo Italo fu re degli Enotri, e da lui, mutando il proprio nome, gli Enotri vennero chiamati Itali e prese il nome di Italia questa penisola dell’Europa, quella parte che si trova tra il Golfo Scilletino e quello Lametino; e questi distano fra loro il camino di mezza giornata. Narrano che questo Italo rese agricoltori gli Enotri che erano nomadi, e diede loro molte leggi, e istituì per primo le mense comuni”: così Aristotele. E ciò “nel punto più stretto d’Italia”, secondo Plinio, e, per tutti, tra i golfi Scilletino e Lametino ovvero Ipponiate. Gli Enotri abitavano probabilmente a nord dell’Istmo, a sud, secondo Tucidide, dovevano abitare ancora ai suoi tempi i Siculi. Si ricordano anche dei Morgeti, forse dell’Aspromonte, e, altrove, dei Choni e Iapigi, e, dal IV secolo, i Bruzi. Senza commettere l’errore ingenuo di prendere alla lettera i miti e gli stessi racconti degli antichi, ce n’è abbastanza per ritenere che la nostra terra sia stata abitata in tempi assai antichi e prima dei coloni Greci, e da popolazioni di un certo sviluppo culturale e di un’organizzazione sociale e politica di una certa complessità. Sono noti i manufatti litici di Cardinale e Isca, esposti al Museo di Crotone, e le tracce umane di Maida, molto più antiche. Non so quanto siano note le tombe sicule di Soverato a nicchie, e tracce di una capanna protostorica. In territorio di Girifalco, Amaroni, Vallefiorita e Squillace la paziente ricerca di Mario Tolone Azzariti ha riportato alla luce un gran numero di statue e oggetti diversi, tra cui iscrizioni illeggibili. Il tutto è stato troppo frettolosamente dichiarato falso, ma, di fronte alle novità, sarà forse il caso di prestarvi più attenzione. È bene prendere in considerazione dei siti particolari, ammantati di una certa sacralità, e tuttavia sinora mostrati e visitati per mera curiosità. A Pazzano, non lontano da Nardodipace, è ancora adibita al culto la fascinosa Grotta della Madonna di Monte Stella. In agro di Badolato, degli enormi massi levigati e segnati da forme geometriche, e tali da far immaginare da lontano una figura umana, sono chiamati “la Pietra del diavolo”. Una “Pietra di sant’Antonino” si trova nella montagna di Davoli, resa sacra da un miracolo del santo. Ambiente sacro anche in rivisitazione cristiana è, a San Vito I., la “Petra e santa Najjiara”, un nome in cui è forse possibile riconoscere il greco “Naiàda”. Meritano un cenno anche il culto della Madonna della Pietra a Chiaravalle, e il toponimo Petrizzi. E non è inutile richiamare anche le innumerevoli tradizioni relative a grotte e percorsi sotterranei, particolarmente sul monte di Tiriolo e tra Stalettì e la Grotta di san Gregorio: ancora una grotta sacra. Bisognava mettere mano a qualche indagine geologica, per determinare se i massi siano delle emergenze naturali; o se l’ipotesi di intervento umano potesse essere confermata. Banale, bastavano un po’ di tempo, due soldi e l’attrezzatura necessaria. In quel mentre irrompono sulla scena i professori Mosino e Raso da Reggio Calabria, i quali sostengono: il primo che i megaliti sono i Lestrigoni dell’Odissea con relativo sbarco di Ulisse; l’altro che i suddetti ritrovamenti di Girifalco, e per essi anche i megaliti e dintorni, contengono iscrizioni nella lingua dei Pelasgi, al Raso notissima e che egli legge come fosse Topolino. Arrivano, i due dotti, con un intero autobus di dottissimi studiosi al seguito (non sto scherzando!); il Mosino, dopo aver ribadito la sua convincentissima tesi che Omero cecato abitava a Reggio, dimostra senza ombra di dubbio l’omerica lestrigonità dei megaliti; il Raso costituisce un’associazione, pubblica un libro… e lascio immaginare quale pascolo di bufale sia diventata la montagna di Nardodipace. Io avverto e in privato e sui giornali e tv il sindaco e & che stavano percorrendo una strada assurda quando al contenuto, e autolesionista per l’immagine del paese e dei megaliti: i quali sindaco e & non mi danno retta e pendono dalle labbra di Raso e Mosino come se dicessero davvero cose serie. La Sovrintendenza archeologica, che evidentemente non aspettava altro, coglie l’occasione delle sconvolgenti bovine, e dichiara ufficialmente i megaliti niente altro che comunissime pietre prive di ogni interesse culturale: e niente indagini geologiche o di altra natura. Fine della storia. Sono ormai dieci anni che dei megaliti non parla più nessuno. Credo, gentile dott. Basciano, che questa buffa e triste storia basti a chiarirle perché in Calabria non ci può essere una seria politica dei beni culturali: hanno fortuna, infatti, o studiosi accademici noiosi e depressi; o pascolatori di bufalacce, soprattutto se hanno a che fare con Ulisse. Sono o dei vecchi o dei grands bébés. Ulderico Nisticò ARTICOLO
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